Omelia nelle esequie di p. Giuseppe Morandini
1Gv 3, 1-2 – Sal 26 (“Il Signore è mia luce e mia salvezza”) – Mt 11,25-30
Non so quali letture p. Giuseppe avrebbe scelto per questa liturgia. Penso però che quelle che abbiamo appena proclamato non gli sarebbero affatto dispiaciute. Esse ci parlano del mistero profondo di Dio, del suo essere più intimo e ci orientano subito all’essenziale. A p. Giuseppe non piacevano i discorsi troppo lunghi, le prediche cervellotiche, i ragionamenti arzigogolati. La fede doveva arrivare diritta al cuore, con semplicità e profondità. Quando parlava di come trasmettere l’annuncio cristiano ricordava sempre quanto gli aveva detto in occasione di una udienza all’Azione cattolica il papa Paolo VI: «poche cose, p. Giuseppe, poche cose…!» Quando si cerca di comunicare la fede, infatti, è importante non perdersi in tanti rivoli periferici, ma bisogna sapersi concentrare su ciò che è veramente essenziale, indispensabile, vitale.
Così sono le parole di Gesù che abbiamo appena ascoltato: benedice il Padre perché la rivelazione tocca il cuore e la mente di chi è piccolo, di chi si lascia stupire dal mistero trascendente del Dio che ci ama, ci conosce e ci conforta. E Gesù si presenta come mite e umile di cuore, capace di una compassione infinita per chi si trova oppresso e affaticato. Il Cuore di Cristo è l’espressione di questa immensa sintonia di Dio con l’uomo, con ogni uomo (cf. Mt 11,25-30). San Giovanni ci dice poi che la nostra dignità è quella di essere figli di Dio, elevati al mistero stesso del Figlio unigenito che riceve tutto dal Padre per potersi ridonare a lui fino in fondo, fino alla fine. E che se fin d’ora siamo figli, scopriremo tutta la bellezza di esserlo quando vedremo Dio faccia a faccia, così come Egli è (cf. 1Gv 3,1-2).
Erano verità su cui p. Giuseppe tornava spesso nella sua predicazione. Ricordo di avergli chiesto un anno fa di tenere una meditazione per i giovani universitari della nostra parrocchia in preparazione alla quaresima. Pur essendo di sera, quando preferiva ritirarsi (diceva che la notte è fatta per dormire!), ha accettato volentieri e ci ha regalato una meditazione che i ragazzi ricordano ancora. Ha detto cose semplici, non ha cercato novità stravaganti, ha ribadito le cose di sempre: che la nostra fede si fonda sulla risurrezione di Cristo e che il nostro essere cristiani non è fatto solo di verità da conoscere, ma soprattutto di realtà da vivere. E per questo, diceva, è necessario avvicinarsi sempre più alla persona di Gesù, imparare i suoi gesti di misericordia, mettersi in ascolto delle sue parole di vita. Sicuramente sono le cose che anche oggi ricorderebbe a ciascuno di noi qui nel suo amato paese, nella chiesa dove è stato battezzato il 17 dicembre 1929, tre giorni dopo la nascita. E lo farebbe col suo stile inconfondibile, essenziale quasi da poter sembrare austero, ma che si apriva talvolta a momenti di ammirazione per la bellezza del dono della fede.
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25). Questa rivelazione p. Giuseppe l’ha vissuta e comunicata non solo negli anni in cui ha girato l’Italia come assistente nazionale dell’azione cattolica ragazzi, non solo quando ha collaborato alla stesura dei catechismi o ha insegnato nelle pontificie università romane, non solo nei numerosi esercizi spirituali predicati alle suore o nelle omelie tenute nella nostra parrocchia, ma anche in questi ultimi mesi.
Sono stati mesi di sofferenza in cui le forze progressivamente gli sono venute meno ed è cominciato il suo cammino verso il congedo da questo mondo. Mesi di sofferenza, certo, ma anche di una rivelazione nuova. Mesi in cui p. Giuseppe ha intensificato la sua frequentazione con Dio nella preghiera, a cui sempre di più ricorreva, soprattutto con il rosario. Mesi in cui gli è stata chiesta docilità e fiducia nella provvidenza. Nei momenti di dolore non si è mai lamentato, si è sempre fidato dei medici con grande rispetto. Non ha perso la sua affabilità, il suo buon umore, il suo incrollabile ottimismo. Questo grazie al suo totale abbandono alla volontà del Signore, certo. Ma anche grazie alle persone che in diverse maniere gli sono state accanto e che qui desidero ringraziare in modo del tutto particolare: innanzitutto Lina, che gli ha dedicato l’attenzione e la affetto di una vera sorella, e poi le Suore canonichesse che lo hanno accudito con tanta generosità e premura, i medici del Gemelli, che lo hanno edificato con la loro gentilezza e competenza, la sua comunità dehoniana di Cristo Re a Roma, dove ha vissuto per oltre cinquant’anni, e quella degli ultimi due mesi di Bolognano.
In un libretto sull’eduzione cristiana dei bambini che aveva scritto vent’anni fa («Coltivare il seme della parola»), p. Giuseppe concludeva le sue riflessioni con queste frasi: «Non mettere mai le nubi di oggi davanti al sole di domani! La provvidenza di Dio sorge ogni giorno prima del sole». Questo era l’ottimismo cristiano di p. Giuseppe. Questo era il fondamento della sua speranza. Proprio a questa provvidenza di Dio, che sorge ogni giorno prima del sole, lo affidiamo ora con piena fiducia.
Bienno, 16 agosto 2017
Stefano Zamboni